P.d.D.
n.983 - Piano regionale della cooperazione internazionale e delle
attività di partenariato 2001-2005 . Modifiche e integrazioni.
PARERE OBBLIGATORIO
Premesso
quanto segue:
1.
L'atto in esame aggiorna in maniera rilevante il vigente Piano della
cooperazione internazionale, delineando un assetto di cui si sintetizzano
i tratti salienti:
a) I moduli della programmazione di settore e il ruolo degli enti
locali
L'obiettivo
della costruzione del "sistema regionale della cooperazione
internazionale" è perseguito attraverso la sempre più
marcata istituzionalizzazione del ruolo svolto dai Tavoli regionali
di coordinamento d'area geografica, chiamati a favorire lo scambio
e condivisone delle esperienze e a definire documenti di strategia
per ciascuna area d'intervento. Gli elementi principali dei documenti
strategici elaborati dai tavoli sono stati recepiti negli aggiornamenti
al Piano al paragrafo 1.4 quale contributo del sistema toscano della
cooperazione.
La struttura organizzativa dei tavoli è stata consolidata
attribuendone i compiti di coordinamento ai rappresentanti degli
enti locali di livello politico. La funzione di coordinamento si
sostanzia in attività di animazione indirizzate alla integrazione
fra i soggetti toscani coinvolti nell'area; alla predisposizione
di appositi quadri conoscitivi; alla definizione di obiettivi condivisi
di intervento e dei risultati attesi; alla identificazione delle
azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi anche mediante
la predisposizione di "programmi concertati"; alla costituzione
e al coordinamento di eventuali gruppi tecnici di progetto per la
realizzazione di specifici interventi territoriali e/o settoriali.
In questo contesto si manifesta l'intento di promuovere il fattivo
coinvolgimento degli enti locali nell'attuazione del Piano così
da attribuire a Comuni e Province, "in forma graduale",
un maggior ruolo nella definizione degli obiettivi e delle priorità
nonché nella gestione dei tavoli e dei progetti di rete.
In particolare, le Province concorrono col livello regionale alla
definizione delle scelte di programma e promuovono nel loro territorio
e con autonome iniziative la partecipazione alle attività
di cooperazione da parte dei Comuni e degli altri soggetti pubblici
e privati.
Infine, gli enti locali sono sollecitati ad assumere adeguate iniziative
per l'organizzazione e gestione di progetti complessi di rete/partenariati
territoriali.
b) Le aree prioritarie
Per
ogni area geografica d'intervento il Piano fornisce indicazioni
che costituiscono, nel loro insieme, il quadro di coordinamento
delle strategie e delle azioni di tutti i soggetti impegnati nell'area.
L'attuazione del Piano si sostanzia nella elaborazione, nella valutazione
e realizzazione di progetti promossi dalla Regione e dal territorio
toscano. I progetti sono riconducibili alle seguenti tipologie:
-micro progetti, riguardanti una o più azioni di dimensioni
contenute;
-progetti quadro, costituiti da un insieme di azioni fra loro integrate,
finalizzate a realizzare obiettivi comuni capaci di creare valore
aggiunto rispetto a iniziative isolate.
Le priorità di questo Piano sono costituite dall'area mediterranea,
dall'Europa centro-orientale e sud-orientale. Le politiche e gli
obietti perseguiti, pur articolati per ciascuna area, riflettono
le finalità generali del Piano, ravvisabili nella tutela
dei diritti umani e delle minoranze, nel contrasto alla povertà,
nello sviluppo socio economico in termini di sostenibilità
ambientale, nella formazione e crescita delle capacità di
governo delle istituzioni locali presenti nelle aree di riferimento.
c) Le risorse e le procedure di finanziamento
Le
risorse disponibili sono ripartite fra le varie linee d'azione destinando
un 10% delle risorse sia al fondo di emergenza sia alle iniziative
di partenariato e di gemellaggio degli enti locali; un 40% delle
risorse è destinato ai progetti presentati da soggetti terzi
mentre le risorse residue sono destinate a Progetti di iniziativa
regionale (PIR).
Il disciplinare di attuazione stabilisce termini e modalità
di presentazione dei progetti alla Regione statuendo i requisiti
essenziali di ammissibilità degli stessi. Il contributo richiesto
alla Regione non può superare il 50% dell'importo ammissibile
e comunque non può superare i 30.000 euro per i micro progetti
e i 150.000 euro per i progetti quadro.
Gli Uffici della Giunta regionale verificano l'ammissibilità
formale dei progetti e approvano le graduatorie sulla base delle
valutazioni di merito effettuate da un nucleo di esperti esterni.
2. Considerato quanto segue:
Come
già evidenziato in premessa, il Piano contiene alcune significative
aperture alle istanze delle autonomie locali soprattutto nella parte
in cui viene delineato e istituzionalizzato il ruolo dei Tavoli
di coordinamento geografico, i quali si pongono come luogo privilegiato
di confronto e condivisione di esperienze fra i soggetti pubblici
e privati della cooperazione, così come luogo di elaborazione
delle strategie complessive del sistema toscano della cooperazione.
Non si può non rilevare con favore che la funzione di coordinamento
di ciascun tavolo è affidata ad uno degli enti locali ivi
rappresentato; allo stesso modo si apprezza il fatto che le determinazioni
dei tavoli (inerenti l'elaborazione di indirizzi stategici, obiettivi
e azioni) assumano una funzione di orientamento dei contenuti del
piano e dei suoi aggiornamenti, sino a determinare, come in questo
caso, un vero e proprio recepimento da parte dello strumento di
piano di quanto elaborato dai singoli tavoli di coordinamento geografico.
Va del pari evidenziata la volontà (scelta) politico-amministrativa
regionale di promuovere il fattivo coinvolgimento delle autonomie
locali nei processi di cooperazione, da un lato prevedendo espressamente
il concorso della Provincia alla programmazione regionale e lo svolgimento
da parte della stessa di un ruolo di coordinamento e aggregazione
di istanze a livello locale; dall'altro promuovendo la capacità
degli enti locali di farsi carico della istituzione e coordinamento
di reti di partenariato finalizzate eminentemente alla realizzazione
di progetti quadro, ossia alla esecuzione in forma coordinata e
integrata di una pluralità di azioni capaci di produrre valore
aggiunto rispetto ad azioni singole e isolate.
Si coglie in tutto ciò soprattutto lo sforzo di recuperare
un ruolo privilegiato degli enti locali nei processi di concertazione
a fronte di una normativa (L.R. n.17/1999) che in verità
nel definire gli organismi consultivi e gli strumenti di partecipazione
(vedasi artt.9, 10 e 11) non pone le autonomie locali su di un piano
diverso rispetto agli altri soggetti pubblici e privati operanti
nel campo della cooperazione.
Le forme e i modi in cui la Regione si impegna a promuovere il "protagonismo"
degli enti locali in questa materia presentano tuttavia ampi margini
di incertezza. Sembra comunque potersi dire che la Regione abbia
fissato un metodo di programmazione destinato a permeare l'intero
sistema della cooperazione toscana, si tratti o meno di attivare
azioni suscettibili di accesso ai finanziamenti di cui alla legge
regionale n.17/1999. D'altro canto la scelta di promuovere le capacità
aggregative degli enti locali nella elaborazione di progetti di
rete presenta senz'altro delle ricadute pratiche anche ai fini della
concessione dei contributi regionali ove si consideri che la valutazione
delle caratteristiche del partenariato, sotto il profilo della capacità
di integrare in rete i diversi soggetti toscani operanti in una
determinata area, costituisce criterio di valutazione delle istanze
di cofinanziamento.
E' quindi innegabile la presenza nella proposta di elementi innovativi
che valgono a rafforzare il processo di compartecipazione delle
istanze locali alla determinazione dei contenuti del Piano, come
del resto è rimarcabile, sul piano del merito, l'estrema
rilevanza e dignità dei principi che informano il Piano stesso,
in quanto tali improntati alla promozione dei diritti umani e allo
sviluppo socio-economico (in un'ottica di sostenibilità ambientale).
di aree territoriali segnate da profonda arretratezza.
Se quindi non mancano elementi di novità che possono orientare
all'espressione di un parere positivo da parte di questo Consiglio
delle autonomie, permangono tuttavia notevoli perplessità
su vari aspetti del Piano, perplessità che si accentuano
vieppiù ove si passino al vaglio le procedure di gestione
e selezione degli interventi.
IL Piano infatti sotto questo aspetto prevede una gestione totalmente
centralizzata delle funzioni di amministrazione attiva, tant'è
che viene riservata alla Regione non solo la gestione dei PIR (progetti
di iniziativa regionale) ma anche la titolarità delle ulteriori
funzioni gestionali estrinsecantesi nella verifica e selezione dei
progetti dei "soggetti terzi" e nell'approvazione delle
graduatorie dei progetti articolate per aree prioritarie, non prioritarie
e per gemellaggi.
Questa impostazione così marcatamente centralistica contrasta,
fatta eccezione per i PIR, coi principi costituzionali in tema dei
sussidiarietà e decentramento amministrativo nonché
con gli stessi principi basilari della legge 49/99, che sanciscono
la necessità di un raccordo fra la programmazione regionale
e quella locale, tant'è che ai sensi di tale legge gli interventi
per la realizzazione degli obiettivi fissati dagli strumenti di
pianificazione regionale e la conseguente utilizzazione delle risorse
finanziarie sono determinati di norma a livello locale con specifici
atti di programmazione locale.
Va comunque aggiunto che le carenze strutturali di questo Piano
(su cui il CdAL aveva a suo tempo già espresso un giudizio
sostanzialmente negativo) sono un portato pressoché inevitabile
delle intrinseche deficienze che la stessa legge regionale n.17/1999
manifesta nel disciplinare sia la fase ascendente (i modi della
programmazione regionale settoriale) sia la fase discente (i modi
di gestione degli interventi) dei processi di cooperazione internazionale
In conclusione resta il fatto che una corretta applicazione dei
principi surriferiti implica senza alcun dubbio il riconoscimento
e l'attribuzione agli enti locali (verosimilmente a livello provinciale)
delle funzioni di aggregazione, coordinamento, verifica e ammissione
a contributo dei progetti promossi sul territorio dai vari soggetti
pubblici e privati.
I L CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI
1. esprime un parere favorevole sulla P.d.D. n.983, alla luce dei
significativi elementi di innovazione introdotti dalla proposta
di modifica e integrazione al Piano;
2.
raccomanda con forza alla Regione, nello stesso tempo, di procedere
ad un'opera di organica risistemazione della L.R. n.17/1999 per
la rimozione di quegli aspetti di criticità e palese difformità
dai principi di sussidiarietà istituzionale e di decentramento
funzionale già segnalati in narrativa, che inevitabilmente
si riverberano, in forma negativa, sui contenuti del Piano.
In particolare il CdAL richiama alla necessità:
a) di ridefinire le procedure di elaborazione del Piano e delle
strategie generali del sistema toscano della cooperazione internazionale
riconoscendo agli enti locali una funzione di coordinamento dei
Tavoli d'area (nei quali sono ormai assorbiti i "gruppi di
coordinamento" menzionati all'art.11 della legge regionale)
e attribuendo alle Province la funzione di concorrere col livello
regionale alla definizione delle scelte di programma e di promuovere
sul proprio territorio con autonome iniziative la partecipazione
alle attività di cooperazione da parte dei Comuni e degli
altri soggetti pubblici e privati
b) di ridefinire le procedure di attuazione del Piano riservando
alla Regione la gestione diretta dei soli PIR, per il resto rimettendo
al livello locale, conformemente ai principi generali della programmazione
regionale e in coerenza col dettato dell'art.11 della L.R. n.49/1999,
la determinazione delle azioni/progetti ammissibili a contributo
come proposti dai soggetti pubblici e privati presenti sul territorio
e operanti nel campo della cooperazione internazionale.
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